CAPITOLO VI - IMPLICAZIONI GIURIDICHE E PROSPETTIVE DEL FENOMENO COPYLEFT: 1.1. IL COPYLEFT E I PRINCIPI GENERALI DEI CONTRATTI

 Il primo aspetto è quello soggettivo: da un lato abbiamo l’autore dell’opera, nonché titolare dei diritti di tutela e di sfruttamento economico della stessa, e lo possiamo chiamare ‘licenziante’; dall’altro lato abbiamo invece un soggetto ipotetico che è utente dell’opera e destinatario dei termini del contratto-licenza e lo possiamo chiamare ‘licenziatario’ . Per quanto riguarda l’aspetto oggettivo, abbiamo già detto che si tratta di disciplinare mediante negozio giuridico i termini con cui l’utente può usufruire del bene immateriale. Si può dunque affermare che si tratta di un contratto a prestazioni corrispettive (sinallagmatico) nel quale la prestazione del licenziante consiste nel concedere la possibilità di utilizzare l’opera (ed eventualmente di distribuirla, di modificarla ecc.), mentre la prestazione del licenziatario consiste nel non fare ciò che non viene espressamente autorizzato dall’altro soggetto (obbligo di fare e di non fare).

Dal punto di vista della formazione del consenso, si può correttamente fare riferimento alla disciplina istituzionale dei cosiddetti contratti standard o ‘per adesione’, così come delineata dal manuale di Torrente e Schlesinger : la licenza copyleft sarebbe così equiparata a quei “contratti di massa che un’impresa conclude con un gran numero di persone” (come ad esempio i servizi telefonici, i servizi bancari ecc.). Come chiariscono gli artt. 1341 e 1342 del codice civile, le condizioni generali del contratto sono predisposte da uno solo dei due contraenti, ma “sono efficaci solo se la parte che le ha predisposte abbia fatto in modo di garantire che l’altro contraente, usando l’ordinaria diligenza,sarebbe stato in grado di conoscerle”


Alcuni autori si sono espressi per un’assimilazione delle licenze come la GPL alla disciplina delle shrink-wrap licenses, ovvero le cosiddette licenze a strappo : licenze d’uso di software che equiparano la rottura fisica della confezione del prodotto ad un’accettazione in toto dei termini del contratto, creando così una situazione paradossale dato che, nella maggior parte dei casi, l’utente non può conoscere l’intero complesso delle clausole dato che esse sono visibili solo all’interno della confezione. Non è un caso che sia in Italia che all’estero si sia stigmatizzata questa prassi alla luce dei principi di tutela contro le clausole vessatorie , principalmente per la carenza del requisito della ‘conoscibilità per mezzo dell’ordinaria diligenza’.

Nel caso di opere multimediali o comunque trasmesse in via telematica e quindi in forma immateriale, non si può certo verificare una fase di vera e propria rottura della confezione, ma piuttosto si potrebbe ravvisare tale passaggio, ad esempio, nell’atto di downloading (acquisizione telematica) dell’opera. Tuttavia, nonostante i dubbi di validità di contratti basati su una sorta di esternazione automatica dal consenso, la maggior parte delle licenze (ad esempio tutte le CCPL, nella loro versione ‘legal code’), riportano un disclaimer (avvertenza) preliminare che sembra proprio fare riferimento ad una sorta di automaticità: “Con l’esercizio di qualsiasi diritto qui di seguito esplicato derivante dall’opera, tu accetti e ti obblighi a rispettare i termini della presente licenza. Il licenziante concede a te i diritti qui contenuti in virtù dell’accettazione da parte tua dei termini e delle condizioni suddette.” Un altro tipo di clausola giudicabile come vessatoria è quella (tipica del copyleft ‘autentico’ prediletto da Stallman) dello ‘share alike’ ovvero dell’obbligo di trasposizione ad libitum dei diritti contenuti nella licenza; caratteristica che in un certo senso soffoca con tale automatismo la capacità di scelta del contraente. I problemi derivanti dalla prospetta vessatorietà di certe clausole sarebbero risolvibili mettendo l'utente-licenziatario nella condizione di poter diligentemente conoscere i termini del contratto prima di acquisire l'opera.

Per esempio, nel caso di opere copyleft scaricate da siti e archivi Internet, basterebbe che, prima di effettuare il download dell’opera, appaia in modo visibile un disclaimer che avverta sinteticamente sui termini della licenza ed eventualmente rimandi al suo testo integrale per dubbi e chiarimenti; similmente a quanto accade per i siti vietati ai minori, per i quali vi è l’obbligo (anche se non universalmente osservato) di avvisare il navigatore del contenuto potenzialmente offensivo e volgare delle pagine richieste. A tal proposito si veda la dottrina e la normativa relativa alle cosiddette ‘informazioni sul regime dei diritti’, tema diventato molto rilevante ora che i modelli di distribuzione si fanno sempre più complessi e disparati. La direttiva europea 92/59/CE, relativa alla sicurezza generale dei prodotti, ma che in via estensiva possiamo riferire anche alle opere dell’ingegno in quanto prodotti editoriali, all’art. 3 “sancisce l’obbligo del produttore di fornire al consumatore le informazioni utili alla valutazione ed alla prevenzione dei pericoli derivanti dall’uso normale, o ragionevolmente prevedibile, del prodotto, se non immediatamente percettibili senza adeguate avvertenze” .

Oltre ai principi sull’aspetto consensuale dei contratti standard in generale, il diritto privato italiano prevede una disciplina specifica per una categoria ancora più ristretta di tale tipo contrattuale: ci riferiamo agli artt. 1469 bis e seguenti del codice civile riferiti ai cosiddetti contratti coi consumatori. Si tratta di una serie di specifiche tutele resa necessaria dalle nuove modalità (sempre più invasive) di diffusione e reclamizzazione dei beni, le quali spesso pongono il singolo consumatore in una posizione svantaggiata rispetto alle grandi strategie di marketing messe in atto dalle imprese e dagli operatori del mercato; tali tutele si aggiungono appunto a quelle già previste dagli artt. 1341 ss. i quali rendono invalide le clausole che eludono i principi di salvaguardia della buona fede in fase di formazione della volontà contrattuale. Detto questo si capisce in che modo anche l’assimilazione a tale tipo contrattuale, benché utile per la comprensione giuridica del fenomeno, risulti non del tutto appropriata. Per prima cosa vacillerebbe la ratio dell’applicazione di questa particolare disciplina visto che nel caso delle licenze copyleft l’utente dell’opera non si troverebbe affatto in una posizione di svantaggio rispetto a quella dell’autore; inoltre tale normativa si applica “solo ai contratti conclusi tra il consumatore ed il professionista, intendendosi per consumatore la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta […] e per professionista la persona fisica o giuridica […] che, nel quadro della sua attività imprenditoriale o professionale, utilizza il contratto” ; e infine gli artt. 1469 bis ss. sono concepiti per regolare un ambito commerciale di scambio di beni prevalentemente dietro corrispettivo in denaro, mentre le licenze copyleft attengono alla diffusione di opere dell’ingegno e generalmente a titolo gratuito. In ultima analisi bisogna considerare alcune caratteristiche delle licenze che le avvicinano per i loro effetti alla categoria negoziale delle promesse al pubblico: si tratta di quelle dichiarazioni unilaterali che risultano vincolanti per il loro emittente non appena sono rese pubbliche 265 . Consideriamo il caso in cui un autore abbia diffuso un’opera sotto licenza copyleft con permesso di modifica, ma successivamente si penta della sua scelta e voglia cambiare il regime di tutela della licenza vietando la realizzazione di opere derivate.

I licenziatari che però abbiano già ricevuto una copia dell’opera con un chiaro riferimento all’originario regime di licenza potranno legittimamente usarla per realizzarne opere derivate, dato che agirebbero in totale buona fede e non potrebbero diligentemente risalire alla mutata volontà del licenziante.




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