CAPITOLO VI - IMPLICAZIONI GIURIDICHE E PROSPETTIVE DEL FENOMENO COPYLEFT: 5.3. CRITICHE AL TRADIZIONALE SIGNIFICATO DI ‘PROPRIETÀ INTELLETTUALE’

Il fenomeno del copyleft come nuovo modello di distribuzione, di software in origine e di altre opere poi, è sorto in esplicita contrapposizione dell’impostazione proprietaria della distribuzione di opere dell’ingegno in generale. Ci si chiede perciò se in un panorama in cui il copyleft si sta ritagliando sempre più ampi spazi sia ancora il caso di parlare di ‘proprietà intellettuale’, con un’espressione che invece sottolinea il concetto di privativa e di esclusiva insito nei principi di diritto d’autore. Bisogna tener presente che il copyright quanto il brevetto si comportano come dei veri e propri monopoli (pur con durata limitata) concessi dal sistema giuridico all’autore (o inventore) affinché costui possa massimizzare i proventi dello sfruttamento economico dell’opera.

Molti giuristi autorevoli hanno dubitato dell’opportunità di trattare allo stesso modo la proprietà sui beni materiali (quella ereditata più o meno intatta dal diritto romano) e quella sui beni immateriali (derivante dalla rivoluzione industriale) quali appunto sono le opere dell’ingegno in generale. Riportiamo una storica riflessione di Thomas Jefferson che ci illumina in modo insuperabile sulla questione:

“Se la natura ha creato una cosa meno soggetta delle altre alla proprietà esclusiva, questa è l’azione della potenza del pensiero chiamata idea, che un singolo può possedere in maniera esclusiva finché la tiene per sé; ma nel momento in cui essa è divulgata, costringe se stessa a essere proprietà di ognuno, e chi la riceve non può restituirla… Colui il quale riceve un’idea da me, riceve istruzioni senza diminuire le mie, così come colui il quale accende la propria candela con la mia, riceve luce senza toglierla a me.” 

Questo approccio era filosoficamente incontrovertibile a metà del 1800 e lo è tuttora; anzi lo è soprattutto ora che tutte le informazioni rientrano nel grande calderone del cyberspazio, nel quale “tutto è liquido e tutto è mutabile” 309 . La differenza fra i tempi di Jefferson e i nostri non va tanto ricercata in una dimensione filosofico-giuridica, dato che i concetti di idea e di informazione sono gli stessi e a cambiare sono stati solo i modi con cui essi si estrinsecano; va piuttosto ricercata in una dimensione politicoeconomica, dato che la realtà del mercato della comunicazione è invece radicalmente cambiata, sia nella forma che nella sostanza, ma soprattutto nelle proporzioni.

Inoltre, altre critiche alla formula ‘proprietà intellettuale’ derivano dalla sua genericità e dalla sua equivocabilità; a questo proposito si esprime Stallman, esortando a non usare quell’espressione poiché quel termine suggerirebbe “un’eccessiva generalizzazione tra copyright, brevetti e marchi commerciali. Si tratta di elementi dagli effetti talmente diversi tra loro che è del tutto folle discuterne come di un unico insieme.”

Tuttavia riteniamo che simili argomentazioni di tipo puramente semantico risultino superflue o comunque meno pregnanti e determinanti di quelle a proposito del concetto stesso di ‘proprietà’ applicato a beni che per natura sono insofferenti a circoscrizioni giuridiche di questo tipo. Il movimento Opensource e il fenomeno copyleft si fanno appunto portavoce dell’esigenza di una rivisitazione dell’impostazione proprietaria di beni ‘evanescenti’ come le idee e le informazioni su cui sifonda ormaisolidamente la nostra società postmoderna.



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