CAPITOLO III - IL SISTEMA DELLE LICENZE NELLA TUTELA DEL SOFTWARE: 4. IL CONCETTO DI COPYLEFT

Prendendo le mosse dalla classificazione appena riportata, a rigor di logica la scelta del public domain dovrebbe essere quella che garantisce la maggior libertà di diffusione e di malleabilità e perciò dovrebbe rappresentare il modello più calzante con l’apparato etico sbandierato dalla FSF. E infatti è così, ma solo in linea di principio. Proviamo a riflettere su una cosa: lasciare il software in un regime di pubblico dominio comporta – come abbiamo detto poco fa – che chiunque possa farne ciò che vuole; ma pubblico dominio in questo caso non vuol dire ‘proprietà di tutti’ intendendo ‘tutti’ come ‘comunità organizzata’, bensì intendendo ‘tutti’ come ‘ciascuno’. Di conseguenza, c i a s c u n o potrebbe anche attribuirsi arbitrariamente i diritti esclusivi di tutela e iniziare a distribuire il software da lui modificato come se fosse software proprietario, criptando il sorgente e misconoscendo la provenienza pubblica del software, senza che nessuno possa agire nei suoi confronti. Una simile prospettiva avrebbe presto vanificato gli scopi del progetto GNU, con ilrischio oltretutto di vedere defraudato il lavoro dei numerosi sviluppatori che vi avevano aderito con spirito di dedizione e gratuità. Bisognava escogitare una soluzione per far sì che ogni affiliato del progetto fosse a sua volta tenuto a mantenere lo stesso grado di libertà sul lavoro da lui svolto. Qui s’innesta la trovata forse più geniale ed interessante di Stallman: egli capì che l’arma più efficace per difendersi dalle maglie troppo strette del copyright ( così come si è voluto negli ultimi anni) stava nel copyright stesso.

Per rendere dunque un software veramente e costantemente libero è sufficiente dichiararlo sotto copyright e poi riversare le garanzie di libertà per l’utente all’interno della licenza, ribaltando così il ruolo della stessa e creando un vincolo di tipo legale fra la disponibilità del codice e le tre libertà fondamentali: di utilizzo, di modifica e di ridistribuzione. Stallman descrive in modo efficace questa prassi (lasciando come sempre trasparire dalle sue parole una vena ideologica): “Gli sviluppatori di software proprietario ricorrono al copyright per rubare agli utenti la propria libertà; noi usiamo il copyright per tutelare quella libertà.” Come già aveva fatto per l’etimologia di ‘GNU’, cercò di attribuire a questo criterio (banale e rivoluzionario allo stesso tempo) un nome emblematico; e lo fece sfruttando un gioco di parole, anzi un doppio gioco di parole. Scelse l’espressione ‘c o p y l e f t ’ che, a seconda dei significati che si danno alla parola ‘left’, trasmette una duplice idea: un’idea di ‘ribaltamento’ degli stereotipi del copyright tradizionale, se s’intende ‘left’ (sinistra) come contrario di ‘right’ (destra); ma anche e soprattutto un’idea di ‘libertà d’azione’ dato che ‘left’ è il participio passato di ‘leave’, cioè ‘lasciare’, ‘permettere’.

Qualcuno si è avventurato in una forzata traduzione di ‘copyleft’ in ‘permesso di copia’ o ‘permesso d’autore’, anche se a mio avviso questa è una di quelle espressioni tipiche dello slang hacker che rimangono intraducibili per la loro innata efficacia 93 . Infatti, nella traduzione italiana si perde irrimediabilmente il senso del duplice gioco di parole, dato che non si può cogliere l’idea di ribaltamento. Quest’ultima sfumatura semantica è stata poi evidenziata dai seguaci della FSF con un’ulteriore distorsione linguistica:alcunidi loro amavano apporre ironicamente suiloro lavori una nota sulcopyrightilcui testo letterale è “copyleft ( ) - all rights reversed” ovvero, “copyleft - tutti i diritti rovesciati” con una ‘C’ rovesciata invece del canonico “copyright (C) - all rights reserved” (cioè, “copyright - tutti i diritti riservati”). Dopo tale annotazione venivano poi elencati (alla stregua di una licenza d’uso) tutte le libertà di cui l’utente era ufficialmente investito e veniva rimarcato l’obbligo di mantenerle intatte in futuro nei confronti degli altri utenti. A conti fatti, dunque, il copyleft consiste nel convertire le licenze d'uso, dal decalogo degli obblighi dell'utente, in una sorta di statuto dei  suoi diritti intoccabili nel tempo e invariabili presso terzi.



Open Source e opere non software:

Nessun commento:

Posta un commento