CAPITOLO III - IL SISTEMA DELLE LICENZE NELLA TUTELA DEL SOFTWARE: 7.1. LA BSD LICENSE

La BSD License ha le sue radici, negli anni d’oro della scienza informatica, in un progetto che potrebbe essere considerato addirittura come precedente al progetto GNU. L’acronimo BSD si riferisce alla Berkley Standard Distribution, ovvero la versione di Unix sviluppata negli anni 70 dalla prestigiosa università californiana con il modello di libera condivisione tipico dell’epoca. 

Quando poi (alla fine degli anni 80) la compagnia produttrice di software AT&T decise di commercializzare Unix ci fu un’inversione di tendenza e ovviamente le nuove versioni del sistema operativo contenevano codice BSD inframmezzato da codice proprietario. Dunque gli sviluppatori originari della BSD separarono il proprio codice dal resto del sistema operativo; si impegnarono poi a ‘riempire i buchi’ e, una volta trasformata la BSD in un sistema operativo completo e indipendente, iniziarono a ridistribuirla sotto una nuova singolare licenza rilasciata dalla University of California (appunto la BSD license). Costoro dopo qualche anno (nel 1993) si organizzarono nel “FreeBSD Project” con lo scopo di coordinare lo sviluppo del software e di rilasciarne le versioni aggiornate. La prima versione (1.0) risale al 1993, mentre nel 1999 si era già giunti alla versione 3.0. Si tratta questa di una licenza piuttosto asciutta, senza componenti ideologiche o programmatiche e parti esemplificative, i cui termini risultano sintetici e essenziali e la cui applicazione si risolve nell’inserimento di una breve nota standard da inserire nei file che s’intendono tutelare con la licenza. La nota (detta ‘template’, ovvero ‘sagoma’) deve riportare il nome di chi detiene il copyright (owner), l’organizzazione a cui egli appartiene e l’anno di realizzazione. Il testo della licenza prosegue poi specificando che, del software così tutelato,sono permesse la ridistribuzione e l’utilizzo in forma sorgente o binaria, con o senza modifiche, ma solo se vengono rispettate tre condizioni: - le ridistribuzioni del codice sorgente devono mantenere la nota sul copyright; - le ridistribuzioni in forma binaria devono riprodurre la nota sul copyright, l’elenco delle condizioni e la successiva avvertenza nella documentazione e nell’altro materiale fornito con la distribuzione; - il nome dell’autore non potrà essere utilizzato per sostenere o promuovere prodotti derivati dal software licenziato, senza un apposito permesso scritto dell’autore. In fine si trovano gli avvertimenti (disclaimer) sull’assenza di garanzia e sullo scarico di responsabilità, che ricalcano grossomodo lo schema dei loro corrispondenti all’interno della GPL . 

Un attento osservatore dell’Opensource come strategia commerciale qual è Brian Behlendorf cristallizza in modo efficace e colorito lo spirito della BSD: “Ecco il codice, fateci quello che volete, non c'interessa;solo, se lo provate e lo vendete, datacene credito”. E’ il caso invece di mettere in luce la caratteristica più problematica di tale licenza, ovvero la possibilità di usare il codice da essa tutelato per sviluppare software proprietari: aspetto che la pone al di fuori del paradigma di ‘copyleft’, poiché non è garantita la trasmissione all’infinito dei diritti da essa concessi, i quali si interrompono nel momento in cui il codice diventa proprietario. Tuttavia,storicamente, le dispute più accese riguardanti la BSD non derivavano da questa caratteristica (d’altronde l’importante era che venisse dichiarato esplicitamente che non si trattava di ‘software libero’ nel senso voluto dalla FSF), bensì quella che venne chiamata la “clausola pubblicitaria”. La clausola obbligava l’utente a “dare esplicito riconoscimento all’Università [Berkeley] nelle eventuali inserzioni pubblicitarie previste per i programmi derivati” . Ma col tempo alcuni sviluppatori aggiunsero alla clausola i nomi di altre organizzazioni che avevano sostenuto lo sviluppo del software, comportando che dovessero essere citati sempre più soggetti nelle inserzioni. Questo ingombrante effetto a catena portò nel 1999 l’università californiana a decidere di eliminare quella clausola dalla versione ufficiale della licenza. Da quel momento cessò anche “l’ostracismo” dimostrato da Stallman nei confronti della BSD license, la quale nonostante tutto vanta una discreta diffusione (probabilmente grazie anche al fatto di essere strettamente connessa con il sistema Unix e con il sistema Apache).



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