Come spesso accade, il legislatore italiano si distinse per inerzia e si dovette attendere la direttiva
europea n. 91/250/CEE (del 1991) che appunto mirava ad un’armonizzazione delle norme comunitarie in
fatto di protezione del software; la direttiva invitava gli stati membri ad applicare al software la normativa
del diritto d’autore. L a nuova opera doveva essere considerata alla
stregua di un ’ opera letteraria (di carattere scientifico) ai sensi della Convenzione di
Berna, ratificata dallo Stato italiano nel 1978; la legge italiana di attuazione della direttiva (ovvero il d. lgs.
518/1992) inserì nella legge sul diritto d’autore una serie di articoli ad hoc per il software (artt. 64 bis, ter,
quater) costituenti una nuova apposita ‘Sezione VI’ del ‘Capo IV’, intitolata proprio “Programmi per
elaboratore”.
In effetti, se si pensa a quanto detto nel capitolo introduttivo sulle peculiarità tecniche del software, la
sua assimilazione ad un’opera letteraria non pare nemmeno molto forzata; possiamo infatti equiparare (come
acutamente osservano alcuni autori ) il programma in forma di codice sorgente ad un manuale d’istruzioni
tecniche redatte in un preciso linguaggio e destinate alla macchina (o, al massimo, ad altri sviluppatori che
conoscono quel linguaggio). La rilevanza dei requisiti di creatività e di originalità (tipici del diritto d’autore)
tende quindi a prevalere sulla peculiarità della vocazione funzionale del software; infatti, la soluzione tecnica
cui un programma è preposto può essere raggiunta dal programmatore in diversi modi a seconda del
linguaggio prescelto e di come le istruzioni sono disposte all’interno del codice. Una volta stabilita la normativa applicabile, deduciamo dai principi cardine del diritto d’autore quali
diritti l’autore possa vantare sull’opera in base a tale tutela. Il diritto continentale europeo, e in particolar
modo quello italiano, avverte la distinzione fra diritti morali d’autore, legati alla sfera personale dell’autore e
quindi inalienabili (principalmente il diritto al riconoscimento della paternità dell’opera), e diritti
patrimoniali d’autore, ovvero tutto il fascio di diritti passibili di una valutazione economica (quindi
alienabili) che ruotano attorno alla gestione e alla diffusione dell’opera. Nella nostra analisi prenderemo in
maggiore considerazione quest’ultima sfera per due motivi: sia a causa della dimensione di politica
economica in cui abbiamo più volte inquadrato le scelte in materia di tutela del software, sia perché gli
ordinamenti di common law come gli U.S.A. – quindi gli ordinamenti che più hanno influito sulla
regolamentazione del software – non presentano una simile dicotomia, considerando il diritto d’autore come
sempre rilevante dal punto di vista patrimoniale. Nel nostro sistema normativo, questi diritti di stampo patrimoniale sono quelli sanciti dall’art. 12 l.a.,
che recita: “L’autore ha il diritto esclusivo di pubblicare l’opera. Ha altresì il diritto esclusivo di utilizzare
economicamente l’opera in ogni forma e modo originale o derivato, nei limiti fissati da questa legge, ed in
particolare con l’esercizio dei diritti esclusivi indicati negli articoli seguenti. E’ considerata come prima
pubblicazione la prima forma di esercizio del diritto di utilizzazione.” E’ palese il reiterato riferimento al
concetto di diritto esclusivo, che successivamente viene ribadito per esempio nell’art. 13 (diritto esclusivo di
riproduzione) e nell’art. 17 (diritto esclusivo di distribuzione). Questa categoria di diritti mira a conferire
all’autore una possibilità d’azione (nei confronti dell’opera) preclusa a qualunque altro soggetto: si cita
spesso, per mostrarne la portata, l’espressione latina ‘ius excludendi alios’, cioè il diritto di escludere gli altri
da una determinata sfera d’azione, la possibilità da parte del titolari di tali diritti di vietare condotte da lui
non autorizzate.
Come vedremo in questo capitolo, saranno proprio questi diritti ad entrare maggiormente in gioco
nell’ambito della distribuzione del software.
Open Source e opere non software:
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